Antonio Canova e il recupero del patrimonio artistico trafugato dai francesi

Antonio Canova e il recupero del patrimonio artistico trafugato dai francesi

Dicembre 12, 2022 Off Di Mario Baldassarre

Antonio Canova (1757-1822) fu un artista dal carattere riservato, certamente fu molto religioso, essendo un fervente cattolico.

Canova fu visto già al suo tempo come l’artista il quale riuscì a far risorgere l’antico nella scultura e per questa capacità fu considerato degno di essere paragonato ai grandi scultori della Grecia antica: il bello ideale della scultura classica era così tornato a manifestarsi nelle opere del grande artista veneto.

Le sue opere sono tutt’ora tra le più apprezzate proprio per l’equilibrio della loro bellezza atemporale.

Canova durante la sua carriera si cimentò con diversi temi: soggetti mitologici, soggetti religiosi e ritratti.

Peraltro l’artista fu anche pittore.

Certamente Canova fu in definitiva uno degli artisti più abili, originali, moderni e innovativi del suo tempo.

Bisogna ricordare che Antonio Canova nel 1802 ricevette da Papa Pio VII l’incarico di Ispettore Generale delle Antichità e delle Arti dello Stato Pontificio, in quanto era già Ispettore per la tutela e la valorizzazione del patrimonio artistico, compito assegnatogli in quanto Principe dell’Accademia di San Luca a Roma.

Sappiamo che a Napoleone Bonaparte non bastavano le conquiste militari, intendeva trafugare anche tutto ciò che “fosse di valore”. Per cui dispose che tutte le opere d’arte più prestigiose che si trovavano nei Paesi la lui conquistati non venissero distrutte, bensì accuratamente trasportate in Francia.

Già nel 1794 partì per Parigi la prima spedizione di quadri saccheggiati dalle terre fiamminghe.

Tra il 1796 e il 1798 gli stati italiani subirono numerose razzie di opere d’arte nelle chiese, nei musei e nelle collezioni private; prima nelle città del Nord Italia, successivamente in quelle dell’Italia centro settentrionale ed in fine a Roma e nel Regno di Napoli.

Tutto andava inviato via fiume e via mare a Parigi, per realizzare il progetto di un Museo Universale da allocarsi nel Palazzo del Louvre.

Il potere di Napoleone Bonaparte scomparì definitivamente nel 1815 dopo la disfatta di Waterloo.

Con la caduta di Napoleone, Antonio Canova fu incaricato da Papa Pio VII di riportare a Roma e nello Stato Pontificio le opere che erano state trafugate durante l’occupazione francese, per questo motivo fu anche nominato ambasciatore pontificio.

Nell’agosto 1815 si recò a Parigi con il fratellastro vescovo Mons. Giovanni Battista Sartori e con il suo collaboratore Alessandro d’Este.

A Parigi si rese conto che, sprovvisto di alleati di peso e di truppe militari, il progetto di riportare allo Sato Pontificio le opere trafugate non poteva essere realizzato.

Ma l’artista non si diede per vinto, cosi con il suo fratellastro vescovo attivarono le vie diplomatiche e trovarono l’appoggio degli inglesi e degli austriaci.

Anche la diplomazia pontificia si mosse sulla base del Trattato di Vienna che prevedeva la restituzione delle opere sottratte dai francesi durante il periodo napoleonico.

Così Antonio Canova lavorò alacremente e dal 2 ottobre 1815 cominciò a esaminare le opere di provenienza italiana al Museo del Louvre, avendo l’opposizione, anche violenta di Vivant Denon, direttore del museo parigino dal 1802.

Il lavoro dello scultore e dei suoi due collaboratori fu gravoso, soprattutto per l’assenza di una lista precisa dei furti d’arte perpetuati negli stati italiani.

Furono costretti a recuperare le opere sulla base della loro memoria.

Così Antonio Canova redasse un elenco dettagliato di tutte le opere d’arte provenienti dai saccheggi negli stati italiani che erano trattenute dal Museo del Louvre, censendo ben 506 opere.

La restituzione delle opere allo Stato Pontificio avvenne grazie all’aiuto di un diplomatico inglese, Ser William Richard Hamilton, sottosegretario del ministro degli Esteri britannico.

Antonio Canova scrisse un elenco delle opere che riuscì a recuperare, con la data del prelevamento dal Museo del Louvre, e divise le spedizioni per Roma, per alcune città dello Stato Pontificio, e per le città degli altri stati italiani.

Alla fine, il 25 ottobre 1815 Antonio Canova, con la scorta dell’esercito britannico, riuscì ad organizzare un convoglio di 41 carri, trainati da 200 cavalli, che trasportarono, in numerose casse, solo 249 opere delle 506 che aveva censito, lasciandone a Parigi ben 248, mentre 9 risultarono perdute o per lo meno non rintracciabili.

Canova fu costretto, anche per l’insurrezione dei parigini, a lasciare le opere più difficili da trasportare e i lavori dei cosiddetti «primitivi italiani», che lo scultore tenne in scarsa considerazione, perché influenzato dal gusto neoclassico.

Questo convoglio lasciò Parigi e raggiunse le varie destinazioni in Italia.

I carri furono accolti dalle popolazioni locali in festa; tanto che esultò anche Giacomo Leopardi per le opere “ritornate alla patria”.

La carovana con 52 casse arrivò a Roma il 4 gennaio 1816, provenendo da Civitavecchia, ove erano giunte via mare.

Grazie alle abilità diplomatiche e alla determinazione di Antonio Canova e dei suoi collaboratori tornarono a Roma l’Apollo del Belvedere, il gruppo del Laocoonte, la Madonna di Foligno e la Trasfigurazione entrambi di Raffaello Sanzio, che ancora oggi si possono ammirare ai Musei Vaticani.

Riportò a Venezia La quadriglia bronzea del pronao della Basilica di San Marco e Il leone sulla colonna della piazzetta.

Papa Pio VII, per questa sua grande opera in difesa dell’arte italiana, gli conferì il titolo di Marchese d’Ischia, con un vitalizio di tremila scudi che Canova elargì a sostegno delle accademie d’arte dello Stato Pontificio.

Certamente questo difficile lavoro di recupero delle opere d’arte trafugate dai francesi in Italia fu il maggiore contributo di Antonio Canova e dei suoi collaboratori all’Arte Italiana.

La Francia non ha mai restituito le 257 opere censite da Canova.

Queste si trovano al Museo del Louvre e in altri musei francesi, come ad esempio il Museo Napoléon.

Fra i capolavori che la Francia dovrebbe restituire all’Italia si ricordano: L’Ascensione di Cristo, Lo sposalizio della Vergine di Pietro Perugino; La Maestà di Cimabue, Le Stigmate di San Francesco di Giotto; La Pala Barbadori di Filippo Lippi; La Crocifissione, Orazione nell’orto, La Resurrezione, La Madonna della Vittoria di Andrea Mantegna; L’Incoronazione della Vergine di Beato Angelico; La Madonna col Bambino, Sant’Anna e quattro santi di Pontormo; Le nozze di Cana di Paolo Veronese; La Madonna della colomba di Piero di Cosimo; Il trionfo di Tommaso d’Aquino di Benozzo Gozzoli; La Madonna con Bambino e san Giovannino di Giulio Romano; La visitazione della Vergine di Ghirlandaio; L’incoronazione di spine di Tiziano; Il Sacrificio di Noè di Poussin; Il trionfo di Giobbe di Guido Reni.

Con l’auspicio che in futuro le opere ancora mancanti vengano restituite all’Italia.

Ad Antonio Canova va il merito di essere stato un ottimo scultore e pittore, ma anche quello di essere riuscito a recuperare gran parte delle opere d’arte saccheggiate dai francesi nel periodo napoleonico.

Bibliografia:

APOLLONI Marco Fabio (1992), Canova, Giunti, Firenze 1992, pp. 49.

PAVANELLO Giuseppe (1996), Canova collezionista di Tiepolo, Edizioni della Laguna, Mariano del Friuli 1996, pp. 108.

CATRA Elena, PAJUSCO Vittorio, SGARBI Vittorio (2022), Antonio Canova nel Veneto: itinerari, Marsilio, Venezia (2022), pp. 122.