Chiamati a lavorare nella vigna di un padrone misericordioso – Meditazione (Mt 20, 1-16)
Agosto 20, 2023Gli ultimi saranno i primi e i primi saranno ultimi. Una questione evangelica diventata motto di vita tutte le volte in cui voler decantare un buonismo ostentato nei tempi e nei modi di una discussione. Un boccone amaro da mandare giù, invece, quelle volte in cui la questione ci vede coinvolti in prima persona, nei fatti e nelle circostanze della vita, superati dall’orgoglio, sbandierato, di chi, pur guadagnando posizioni d’avanguardia con poco merito, cede a un moralismo ostentato, quasi a voler giustificare l’onorato merito acquisito.
Sono questioni che hanno attraversato le vie polverose dei secoli e, tutte le volte, palesano quel refrigerio da brezza marina, che per alcuni diventa fastidiosa sabbia negli occhi. Le discussioni sono il bel tempo trascorso in rilassatezza, talvolta armonia; i colpi sui nervi scoperti sono tutt’altro: fastidiosamente dolorosi. Basta il tempo di una breve meditazione, con un silenzio che si rispetti, per capire che, frequentemente, l’orgoglio e il senso dell’apparenza governano comportamenti sbagliati.
La vicenda evangelica del padrone che recluta operai per la sua vigna, pagando quanto pattuito e onorando, con la stessa moneta, anche i lavoratori di fine giornata (cfr. Mt 20, 1 – 16), quando viene riproposta ci commuove, per la bontà e, al tempo stesso, ci presenta un apparente senso di ingiustizia che, usando un eufemismo romanesco, fa rosicare.
«Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?» (Mt 20, 13-15), chiede il padrone all’operaio che mormora. È palese, il rispetto dei patti si scontra, invece, contro l’orgoglio che brontola, come per un torto subito.
Troppe volte, le spregiudicate vicende umane, fanno i conti con il portafoglio altrui. La questione diventa indecente quando viene messa in discussione la bontà e la carità fatte con nobiltà d’animo e gratuità: si intavolano discussioni moralistiche che si avvitano intorno all’inconcludenza.
La parabola dei lavoratori della vigna, reclutati da un padrone generoso, si presta ad una duplice chiave di lettura: secondo la logica del mondo e quella di Dio. Nel primo caso, il cuore indurito si limita a mere analisi quantitative monetizzabili: prevale la contesa, il disprezzo, il ragionamento pretestuoso e rancoroso, che crea fratture nelle relazioni. Quando, invece, gli eventi vengono vissuti con la bontà del cuore di Dio, prevale un senso di fraternità, di prorompente gioia contagiosa, che non si limita a quantificazioni, ma qualifica la bellezza della fraternità e della spontanea gratuità di un cuore generoso propenso a donare la soavità della carità: quel bene che nel silenzio edifica.
Gli ultimi che diventano primi sono il buon frutto della carità, della misericordia paterna. Gesù usa questo comportamento verso gli uomini: la stessa bontà per Giudei e pagani, giusti e peccatori; non conteggia meriti o colpe, ma risana tutto con amore.
Quante volte, nella vita, il peccato ci ha reso ultimi? Quante volte gli errori, seppur in buona fede, ci hanno fatto perdere posizioni sociali o di merito? In questi casi siamo disposti a mettere da parte l’orgoglio, sperando e fidando nella realizzazione del su richiamato detto evangelico. Con umiltà cerchiamo riconoscenza, per poi elevarci a paladini di rispettata meritocrazia quando le cose vanno bene. È necessario, con compostezza, saper riconoscere chi ripone in noi la fiducia e così operare verso i fratelli, senza pretenziosità, senza clamore o scalpore verso scelte di buon senso e carità. Il Signore ci chiama a lavorare nella sua vigna, offrendoci, con smisurata fiducia, un compito arduo; non guarda se siamo operai scrupolosi, parsimoniosi o lavoratori dell’ultim’ora che trascinano la fatica con spossatezza. Tutti siamo chiamati perché amati.
Tutti siamo debitori, a fine giornata, delle fragilità delle comuni debolezze quotidiane, ma non per questo privati della giusta paga misericordiosa, che guarendo le ferite ci accompagna lungo il cammino travagliato della vita. Quando nascono quelle contese, mosse dall’orgoglio, dalla gelosia o dall’invidia verso un nostro fratello, in nome di un’evidenza ingiusta, basta volgere lo sguardo alla Croce per capire che Cristo ha patito la peggiore delle ingiustizie per amore. E se dovesse prevalere quel rancore interiore, se l’apparenza delle cose non riconduce a condizioni di equilibrio, attingiamo la verità dal Vangelo:
«Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei» (Gv 8, 7).
Mario Baldassarre