Il Fast Fashion è cosa voluttuaria, ma non senza conseguenze…
Agosto 7, 2023Folle brulicanti si affollano nei grandi magazzini di abbigliamento e sui mercati, alla ricerca dell’affare e della novità. Il tutto a basso costo in una spirale vorticosa dell’usa e getta, così per sfizio, per cambiare look anche più volte al giorno. In prevalenza sono signore e ragazze le più assieme frequentatrici dei grandi magazzini low cost; non possiamo fare i nomi dei punti vendita per non pubblicizzare alcun marchio, ma tante multinazionali di successo sono presenti con mega shop in tutte le città d’Italia.
Si può obiettare: che male c’è? La gente si diverte ad acquistare a basso costo e soddisfa la vanità di rinnovare il vestiario ed essere sempre in voga, gli esercenti commerciali fanno affari e movimentano la merce in magazzino. Fin qui le positività, ma ci sono degli aspetti negativi dietro tale commercio facile facile, che riguardano la provenienza e la destinazione dei capi di di abbigliamento low cost.
Essi vengono prodotti per lo più nei paesi asiatici (Cambogia, India, Sri Lanka, Pakistan, Indonesia e Bangladesh) ove il costo della manodopera è basso, troppo basso, tale da provocare sfruttamento del lavoro anche minorile che viene a costare magari cinque euro per un’intera giornata a ciascun lavoratore. Questo è un “trucchetto” a cui ricorrono non sparuti avventurieri del commercio, ma multinazionali dai marchi molto conosciuti e di successo mondiale. Si stima che negli ulimi tempi i dipendenti dell’azienda tessile hanno ricevuto compensi mancanti per 10 miliardi di euro.
Ricordiamo che produrre capi di abbigliamento poco pregiati necessita di una creazione molto veloce: basta un mese per lanciare una nuova linea Fashion. Quindi l’impegno del produttore è minimo, ma tutto questo va a scapito della qualità; per il produttore è importante lanciare sul mercato sempre nuovi prodotti che soddisfino la voglia di rinnovarsi della clientela.
Altro particolare da tener presente è che per produrre una maglietta in cotone servono 2700 litri di acqua dolce: uno spreco non da poco per un capo che dopo non molto andrà buttato via. ma il circolo vorticoso del Fashion Fast non è virtuoso anche per un altro motivo: l’acquirente si stanca presto dell’acquisto e dato che ha speso poco se ne disfa con molta facilità. Così il prodotto poco dopo l’acquisto diventa scarto e va eliminato, ciò significa che va ad alimentare la massa dei rifiuti composti da materiali sintetici che necessitano di uno smaltimento adeguato; senza contare che il lavaggio dei capi in poliestere va ad inquinare le acque di mari dei mari e degli oceani.
Da tutte queste considerazioni nasce l’invito a non acquistare compulsivamente prodotti tessili destinati poco dopo ad essere rottamati, si facciano pochi acquisti e di qualità, quantomeno per il bene della società e dell’ambiente.