La Rai ha compiuto settant’anni: gli anni d’oro, le occasioni mancate e un futuro in chiaroscuro

La Rai ha compiuto settant’anni: gli anni d’oro, le occasioni mancate e un futuro in chiaroscuro

Gennaio 22, 2024 Off Di Dario Alvino

Senz’altro la Rai ha segnato un’epoca per la nostra Italia o meglio ne ha seguito le gesta e ha condizionato non poco la vita politica, la cultura e la vita sociale del Paese. Negli anni sessanta sono andati in onda classici come il Conte di Montecristo, IFratelli Karamazov, IPromessi Sposi, Pinocchio, che hanno fatto presa sulle coscienze degli Italiani rendendone indelebili la trama ed il ricordo. Le lezioni del maestro Alberto Manzi hanno contribuito ad allontanare l’analfabetismo che in quell’epoca la faceva da padrone. Ma anche i Varietà del sabato sera catalizzavano l’attenzione del grande pubblico con personaggi come Pippo Baudo e Raffaella Carrà, divenuti protagonisti istituzionali indiscussi e indimenticati. Anche i film del lunedì sera erano attesi e non deludano quasi mai le aspettative.

Certo è passata un’era geologica da allora: il paragone con l’offerta inflazionata di oggi è improponibile ma c’è una differenza sostanziale:

la produzione televisiva degli anni sessanta badava ai contenuti, mentre quella attuale è tutta protesa all’audience e all’intrattenimento; il tutto a scapito della qualità per cui il telespettatore, sommerso oggi da un’offerta enorme e variegata di programmi deve fare attenzione a selezionare quello che gli aggrada.

Con gli anni ottanta c’è stato l’avvento delle tv commerciali: con il Gruppo Mediaset il carico pubblicitario di cui anche la Rai ha cominciato ad avvalersi a partire dagli anni novanta. Prima di allora per mamma Rai la percentuale dei fondi pubblici e del canone era del 57%.

Negli anni duemila l’offerta televisiva si è arricchita con le pay-tv e la piattaforma Sky. Dal 1994 ,con la discesa in campo di Berlusconi, la tv è anzitutto un prodotto commerciale; dieci anni dopo con la legge Gasparri (anno 2004) il duopolio Rai/Private è stato istituzionalizzato.

Negli ultimi vent’anni c’è stato un incremento delle emittenti privati e di Smart TV, mentre la Rai ha cercato di adeguarsi al mercato acquisendo tanta pubblicità, al pari delle tv private, e non rinunciando nel contempo al contributo pagato delle famiglie italiane : è solo cambiata la modalità di riscossione, ora compresa nella bolletta di energia elettrica.

Oggi la produzione Rai sforna delle fiction di pregevole fattura e che attirano una buona fetta di pubblico ed anche un’interessante giornalismo

d’inchiesta, anche se dislocato in orari impossibili (spesso interno a mezzanotte, orari non proprio accessibili al grande pubblico). In ciò si è adeguata ai palinsesti delle pay-tv che grazie all’on demand possono essere trasferite alla fascia oraria che aggrada. Ma da anni la tv di Stato, e lo fa ancora oggi, propone lunghe ore di trasmissione in prima serata di contenuto frivolo e di puro intrattenimento: non è concepibile che un Festival della canzone occupi cinque giorni full time sulla principale rete televisiva pubblica, con tanto di anteprime e di repliche nei giorni precedenti e successivi l’evento. Come non troviamo molto costruttivo mandare in onda interminabili maratone in prima serata di una gara di ballo con ampio contorno di futilissimi commenti di improbabili opinion leader; oppure di carnevalate continue di di cantanti mascherati…

Questa è la pecca di mamma Rai che da anni, pur usufruendo del contributo pubblico, si è fatta fagocitare nella morsa dell’audience e dei bilanci, magari per pagare più che lautamente dipendenti e dirigenti, trascurando la funzione educativa oltre che di promozione culturale della popolazione italiana, che pure costituirebbero la sua missione.