L’amore di Dio non si merita ma si accoglie e si testimonia
Maggio 22, 2022«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.» (Gv 14, 23). Grammaticalmente il periodo ipotetico esprime un’ipotesi dalla quale può derivare una conseguenza. Le parole di Gesù, legate dal fil rouge dell’amore, sono la chiara espressione di questo concetto. Un richiamo forte, al tempo stesso, delicato, non imperativo perché Dio, nella sua infinita ed incondizionata bontà, rispetta la libertà umana. L’apertura del cuore ad accogliere Dio è il viatico verso la felicità, scacciando la paura e i timori che tengono imbrigliati la vita.
«Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano» (Lc 11, 28), dice Gesù: non si è beati se si osserva la realtà con distacco e superficialità, senza sentimenti di altruismo e carità; non si percepisce una gioia piena quando l’indifferenza, unita all’egoismo, supporta principi autoreferenziali ed individualistici che generano aridità di sentimenti. Il Vangelo custodisce la Parola da mettere in pratica per imparare ad amare: amore che dona e chiede amore, aprendo così, con risolutezza, una visione circolare che si rinnova e si amplifica. La Parola di Gesù non è teoria da imparare, seguendo un astratto vademecum, ma un principio da vivere e mettere in pratica per poterne vivere i frutti. Gli insegnamenti, se coltivati con animo caritatevole e sentimenti di prossimità, diventano lievito d’amore che dona energia, luce, gioia in ciò che si fa. La serenità acquisita prende forma, dona quella forza interiore per affrontare le tante “croci”, rifuggendo l’arido sentimento del livore. La felicità sta, appunto, nell’osservare la Parola, senza la pretesa di interpretarla secondo interessi, convinzioni e convenienze, per non correre il rischio di inseguire felicità apparenti e momentanee.
Le condizioni sociali avverse, il dolore, le ingiustizie e le iniquità mettono la fede cristiana a un duro banco di prova: prevalgono lo scoraggiamento, il senso di abbandono, il dubbio. San Paolo nel misurarsi con le difficoltà, le angosce, le persecuzioni trovava forza nella fragilità, addirittura vantandosene, così da far risplendere la presenza di Cristo nella propria vita e testimoniare l’amore del Padre: «Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte.» (2 Cor 12, 10). Dio, padre buono e misericordioso, accompagna con amore i nostri passi, le nostre miserie, basta aprire il cuore e camminare lungo i sentieri della sua Parola. La pace interiore, vissuta anche nelle difficoltà, testimonierà così una presenza silenziosa e ristoratrice. «Nel deserto non siamo mai soli», era solito ripetere con fede Charles de Foucauld canonizzato da papa Francesco la scorsa settimana.
«Vi lascio la mia pace, vi do la mia pace.» (Gv 14, 27). Il Signore è quella pace che protegge dal male, dalle brutture e dalle torture che la vita a vario modo presenta, perché siamo difesi dalla luce e dalla fiducia del suo amore. Spesso si confonde la pace con la tranquillità, l’assenza di guerre o problemi che a vario titolo generano dolori percepiti come insopportabili. Shalom è la pace che indica la pienezza per vincere il male col balsamo dell’amore, donando un’intensa armonia.
Gesù, nell’annunciare la sua dipartita, annuncia il dono dello Spirito Santo, Spirito di salvezza: una presenza intangibile che abbatte i confini dello spazio, del tempo e rafforza la presenza e l’opera di Dio nelle nostre vite.
«Noi non siamo mai soli – scrive il servo di Dio don Dolindo Ruotolo –, anche quando, privi di consolazioni, ci crediamo abbandonati; la grazia di Dio sarà sempre con noi, a patto che noi consentiamo a lavorare con lei. Appoggiati a Dio, onnipotente collaboratore in noi, saremo invincibili, perché tutto possiamo in Colui che ci dà la forza.»
Mario Baldassarre