L’UNIONE CATTOLICA DELLA STAMPA HA CELEBRATO LA GIORNATA MONDIALE DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI

L’UNIONE CATTOLICA DELLA STAMPA HA CELEBRATO LA GIORNATA MONDIALE DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI

Gennaio 26, 2022 Off Di Dario Alvino

Le considerazioni di Don Gerardo Capaldo ed il messaggio di Papa Francesco

Anche quest’anno la celebrazione del 24 gennaio festa di San Francesco di Sales, patrono degli scrittori e dei giornalisti, coincide con le limitazioni imposte dal Covid-19. Una limitazione che non c’impedisce di cogliere l’opportunità di qualche momento di preghiera o di riflessione sia pure a distanza.

Alle ore 9 sarà celebrata l’Eucarestia in memoria del Santo Vescovo di Ginevra e in suffragio dei nostri giornalisti defunti, a cominciare dal compianto Vittorio Petretta, dal quale in anni lontani ricevemmo il testimone dell’Ucsi della nostra provincia. Seguendo con Antonio Pescatore, Goffredo Raimo e Antonio Aurigemma. Un particolare ricordo per i più giovani collaboratori: Valentino De Rosa (Calitri) e Benigno Blasi (Mirabella)).

Una tradizione che speriamo di onorare nonostante le difficoltà che ci affliggono ormai da tre anni con questa triste pandemia. Le difficoltà hanno tuttavia posto in maggiore risalto il ruolo che la comunicazione sociale e iI giornalismo cattolico in modo particolare dovrebbero assumere in tale momento.

La pandemia ha sconvolto un poco tutti. Si allega una riflessione desunta dai numerosi contributi che ci sono stati offerti dagli esperti in questi anni e che riassumiamo in questa breve relazione, per un confronto più ampio, insieme al

consueto Messaggio diffuso dal Papa in questa circostanza.

Nello stesso tempo ci era stata suggerita nello scorso anno una più accurata ricerca sulle gravi conseguenze determinate dalla pandemia nell’ambito della economia e del lavoro in Irpinia, con particolare riferimento ai numerosi esercizi commerciali che son stati costretti drammaticamente a sospendere ogni attività.

Si è dato inizio inoltre ad una ulteriore rassegna sui sempre più frequenti conflitti di coppia, ai quali anche i programmi televisivi stanno offrendo molto spazio. Sono molti i giovani che hanno paura di sposarsi. Tante difficoltà pongono quasi a rischio la stessa istituzione della famiglia e la sua matrice cristiana.

Sarà nostro compito associativo allargare e aggiornare le ricerche su tali realtà, comunicandone gli sviluppi alle varie associazioni e strutture diocesane maggiormente interessate. Sempre confidando sulla collaborazione di tutti i nostri soci ed amici. Con la protezione del nostro grande Santo Patrono.

Ipotesi del post-pandemia

La pandemia si protrae in tutto il pianeta da circa tre anni e continua ad essere uno shock per la maggior parte dei leader politici, degli esperti e dell’opinione pubblica. Dopo tante discussioni non è ancora facile identificare le vere cause né i rimedi di questo disastro indicato come il peggiore evento dopo la seconda guerra mondiale.

E’ facile ricadere in casi simili nella frustrazione e nel catastrofismo che spesso si cerca di rimuovere con una banalizzazione piuttosto sconcertante del fenomeno. In entrambi i casi comunque viene meno ogni speranza e si ingenera un comune immobilismo. Anche le più avanzate certezze scientifiche risultano discutibili e un intero mondo sembra scomparire.

Una situazione che era impossibile prevedere e che tuttavia s’inserisce nel contesto di una transizione paradigmatica, già indicata da una molteplicità di elementi. Che spesso però venivano sottovalutati anche per non mettere in discussione consolidati interessi economici e non scomodare l’apatia delle facili deleghe e la diffusa cultura consumistica.

LE CONSEGUENZE

Sembra che la stampa stessa e l’informazione televisiva non riescano a trovare una linea di equilibrio. Quasi tutte le ricerche giornalistiche vengono circondate da sospetti, temendo spesso le pressioni e i condizionamenti di quei poteri forti che hanno accumulato enormi ricchezze ricavate con i costosi provvedimenti terapeutici prescelti.

Il dato più rilevante, messo in evidenza da quasi tutta la stampa cattolica, è ancora una volta il divario enorme che si è andato determinando tra ”i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri”. Business miliardari che rappresentano una grave offesa al senso di giustizia, che è proprio della dottrina sociale cristiana.

Analisi spaventose che, nello stesso tempo però, se sono serie, potrebbero finalmente farci cogliere anche gli effetti positivi di tale disastro, inducendo l’opinione pubblica a scuotere l’indifferenza, l’apatia e il pessimismo; ad attivarsi senza continuare a gettare solo ombre, senza ricercare un poco di luce e rimboccarsi le maniche.

I RIMEDI

E’ inutile moltiplcare i lamenti. La Chiesa, come madre e maestra, continua a riproporre la sinodalità. Non è una strana novità, ma un ritorno alla Chiesa dei primi secoli, intesa come comunità, dotata di un comune progetto e una comune responsabilità. Senza queste condizioni non si andrà da nessuna parte.

Riunioni, assemblee, convegni parrocchiali, diocesani, nazionali e internazionali. Attività ritenute spesso noiose e inconcludenti. Ma è da queste che occorre ripartire per evitare la frammentazione e l’insignificanza. I nuovi social offrono una colluvie di notizie, tra le quali molte fake news, senza aiutare l’utenza a discernerle.

Nello stesso tempo inducono a un confronto che però non si può ridurre a un semplicistico “piace” o “non piace”. Con un minimo di organizzazione il “dialogo” potrebbe estendersi, nei momenti in cui si è più liberi e senza scomodarsi andando in questo o quel centro di cultura. Ed è partecipazione, sinodalità, progetto comune e costruttivo.

Bibliografia: Statuto Ucsi – “Famiglia cristiana” – “Aggiornamenti Sociali” – “Avvenire” – “La Civiltà Cattolica”

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56.ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali

il Messaggio di Papa Francesco

Ascoltare con l’orecchio del cuore”

Pubblichiamo di seguito il Messaggio del Santo Padre Francesco per la 56ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali che quest’anno si celebra il 29 maggio 2022 sul tema “Ascoltare con l’orecchio del cuore”. 

Cari fratelli e sorelle!
Lo scorso anno abbiamo riflettuto sulla necessità di “andare e vedere” per scoprire la realtà e poterla raccontare a partire dall’esperienza degli eventi e dall’incontro con le persone. Proseguendo in questa linea, desidero ora porre l’attenzione su un altro verbo, “ascoltare”, decisivo nella grammatica della comunicazione e condizione di un autentico dialogo.
In effetti, stiamo perdendo la capacità di ascoltare chi abbiamo di fronte, sia nella trama normale dei rapporti quotidiani, sia nei dibattiti sui più importanti argomenti del vivere civile. Allo stesso tempo, l’ascolto sta conoscendo un nuovo importante sviluppo in campo comunicativo e informativo, attraverso le diverse offerte di podcast e chat audio, a conferma che l’ascoltare rimane essenziale per la comunicazione umana.
A un illustre medico, abituato a curare le ferite dell’anima, è stato chiesto quale sia il bisogno più grande degli esseri umani. Ha risposto: “Il desiderio sconfinato di essere ascoltati”. Un desiderio che spesso rimane nascosto, ma che interpella chiunque sia chiamato ad essere educatore o formatore, o svolga comunque un ruolo di comunicatore: i genitori e gli insegnanti, i pastori e gli operatori pastorali, i lavoratori dell’informazione e quanti prestano un servizio sociale o politico.

Ascoltare con l’orecchio del cuore
Dalle pagine bibliche impariamo che l’ascolto non ha solo il significato di una percezione acustica, ma è essenzialmente legato al rapporto dialogico tra Dio e l’umanità. «Shema’ Israel – Ascolta, Israele» (Dt 6,4), l’incipit del primo comandamento della Torah, è continuamente riproposto nella Bibbia, al punto che San Paolo affermerà che «la fede viene dall’ascolto» (Rm 10,17). L’iniziativa, infatti, è di Dio che ci parla, al quale noi rispondiamo ascoltandolo; e anche questo ascoltare, in fondo, viene dalla sua grazia, come accade al neonato che risponde allo sguardo e alla voce della mamma e del papà. Tra i cinque sensi, quello privilegiato da Dio sembra essere proprio l’udito, forse perché è meno invasivo, più discreto della vista, e dunque lascia l’essere umano più libero.
L’ascolto corrisponde allo stile umile di Dio. È quell’azione che permette a Dio di rivelarsi come Colui che, parlando, crea l’uomo a sua immagine, e ascoltando lo riconosce come proprio interlocutore. Dio ama l’uomo: per questo gli rivolge la Parola, per questo “tende l’orecchio” per ascoltarlo.
L’uomo, al contrario, tende a fuggire la relazione, a voltare le spalle e “chiudere le orecchie” per non dover ascoltare. Il rifiuto di ascoltare finisce spesso per diventare aggressività verso l’altro, come avvenne agli ascoltatori del diacono Stefano i quali, turandosi gli orecchi, si scagliarono tutti insieme contro di lui (cfr At 7,57).
Da una parte, quindi, c’è Dio che sempre si rivela comunicandosi gratuitamente, dall’altra l’uomo al quale è richiesto di sintonizzarsi, di mettersi in ascolto. Il Signore chiama esplicitamente l’uomo a un’alleanza d’amore, affinché egli possa diventare pienamente ciò che è: immagine e somiglianza di Dio nella sua capacità di ascoltare, di accogliere, di dare spazio all’altro. L’ascolto, in fondo, è una dimensione dell’amore.
Per questo Gesù chiama i suoi discepoli a verificare la qualità del loro ascolto. «Fate attenzione dunque a come ascoltate» (Lc 8,18): così li esorta dopo aver raccontato la parabola del seminatore, lasciando intendere che non basta ascoltare, bisogna farlo bene. Solo chi accoglie la Parola con il cuore “bello e buono” e la custodisce fedelmente porta frutti di vita e di salvezza (cfr Lc 8,15). Solo facendo attenzione a chi ascoltiamo, a cosa ascoltiamo, a come ascoltiamo, possiamo crescere nell’arte di comunicare, il cui centro non è una teoria o una tecnica, ma la «capacità del cuore che rende possibile la prossimità» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 171).
Tutti abbiamo le orecchie, ma tante volte anche chi ha un udito perfetto non riesce ad ascoltare l’altro. C’è infatti una sordità interiore, peggiore di quella fisica. L’ascolto, infatti, non riguarda solo il senso dell’udito, ma tutta la persona. La vera sede dell’ascolto è il cuore. Il re Salomone, pur giovanissimo, si dimostrò saggio perché domandò al Signore di concedergli «un cuore che ascolta» (1 Re 3,9). E Sant’Agostino invitava ad ascoltare con il cuore (corde audire), ad accogliere le parole non esteriormente nelle orecchie, ma spiritualmente nei cuori: «Non abbiate il cuore nelle orecchie, ma le orecchie nel cuore». E San Francesco d’Assisi esortava i propri fratelli a «inclinare l’orecchio del cuore».
Perciò, il primo ascolto da riscoprire quando si cerca una comunicazione vera è l’ascolto di sé, delle proprie esigenze più vere, quelle inscritte nell’intimo di ogni persona. E non si può che ripartire ascoltando ciò che ci rende unici nel creato: il desiderio di essere in relazione con gli altri e con l’Altro. Non siamo fatti per vivere come atomi, ma insieme.

L’ascolto come condizione della buona comunicazione
C’è un uso dell’udito che non è un vero ascolto, ma il suo opposto: l’origliare. Infatti, una tentazione sempre presente e che oggi, nel tempo del social web, sembra essersi acuita è quella di origliare e spiare, strumentalizzando gli altri per un nostro interesse. Al contrario, ciò che rende la comunicazione buona e pienamente umana è proprio l’ascolto di chi abbiamo di fronte, faccia a faccia, l’ascolto dell’altro a cui ci accostiamo con apertura leale, fiduciosa e onesta.
La mancanza di ascolto, che sperimentiamo tante volte nella vita quotidiana, appare purtroppo evidente anche nella vita pubblica, dove, invece di ascoltarsi, spesso “ci si parla addosso”. Questo è sintomo del fatto che, più che la verità e il bene, si cerca il consenso; più che all’ascolto, si è attenti all’audience. La buona comunicazione, invece, non cerca di fare colpo sul pubblico con la battuta ad effetto, con lo scopo di ridicolizzare l’interlocutore, ma presta attenzione alle ragioni dell’altro e cerca di far cogliere la complessità della realtà. È triste quando, anche nella Chiesa, si formano schieramenti ideologici, l’ascolto scompare e lascia il posto a sterili contrapposizioni.
In realtà, in molti dialoghi noi non comunichiamo affatto. Stiamo semplicemente aspettando che l’altro finisca di parlare per imporre il nostro punto di vista. In queste situazioni, come nota il filosofo Abraham Kaplan, il dialogo è un duologo, un monologo a due voci. Nella vera comunicazione, invece, l’io e il tu sono entrambi “in uscita”, protesi l’uno verso l’altro.
L’ascoltare è dunque il primo indispensabile ingrediente del dialogo e della buona comunicazione. Non si comunica se non si è prima ascoltato e non si fa buon giornalismo senza la capacità di ascoltare. Per offrire un’informazione solida, equilibrata e completa è necessario aver ascoltato a lungo. Per raccontare un evento o descrivere una realtà in un reportage è essenziale aver saputo ascoltare, disposti anche a cambiare idea, a modificare le proprie ipotesi di partenza.
Solo se si esce dal monologo, infatti, si può giungere a quella concordanza di voci che è garanzia di una vera comunicazione. Ascoltare più fonti, “non fermarsi alla prima osteria” – come insegnano gli esperti del mestiere – assicura affidabilità e serietà alle informazioni che trasmettiamo. Ascoltare più voci, ascoltarsi, anche nella Chiesa, tra fratelli e sorelle, ci permette di esercitare l’arte del discernimento, che appare sempre come la capacità di orientarsi in una sinfonia di voci.
Ma perché affrontare la fatica dell’ascolto? Un grande diplomatico della Santa Sede, il Cardinale Agostino Casaroli, parlava di “martirio della pazienza”, necessario per ascoltare e farsi ascoltare nelle trattative con gli interlocutori più difficili, al fine di ottenere il maggior bene possibile in condizioni di limitazione della libertà. Ma anche in situazioni meno difficili, l’ascolto richiede sempre la virtù della pazienza, insieme alla capacità di lasciarsi sorprendere dalla verità, fosse pure solo un frammento di verità, nella persona che stiamo ascoltando. Solo lo stupore permette la conoscenza. Penso alla curiosità infinita del bambino che guarda al mondo circostante con gli occhi sgranati. Ascoltare con questa disposizione d’animo – lo stupore del bambino nella consapevolezza di un adulto – è sempre un arricchimento, perché ci sarà sempre una cosa, pur minima, che potrò apprendere dall’altro e mettere a frutto nella mia vita.
La capacità di ascoltare la società è quanto mai preziosa in questo tempo ferito dalla lunga pandemia. Tanta sfiducia accumulata in precedenza verso l’“informazione ufficiale” ha causato anche una “infodemia”, dentro la quale si fatica sempre più a rendere credibile e trasparente il mondo dell’informazione. Bisogna porgere l’orecchio e ascoltare in profondità, soprattutto il disagio sociale accresciuto dal rallentamento o dalla cessazione di molte attività economiche.
Anche la realtà delle migrazioni forzate è una problematica complessa e nessuno ha la ricetta pronta per risolverla. Ripeto che, per vincere i pregiudizi sui migranti e sciogliere la durezza dei nostri cuori, bisognerebbe provare ad ascoltare le loro storie. Dare un nome e una storia a ciascuno di loro. Molti bravi giornalisti lo fanno già. E molti altri vorrebbero farlo, se solo potessero. Incoraggiamoli! Ascoltiamo queste storie! Ognuno poi sarà libero di sostenere le politiche migratorie che riterrà più adeguate al proprio Paese. Ma avremo davanti agli occhi, in ogni caso, non dei numeri, non dei pericolosi invasori, ma volti e storie di persone concrete, sguardi, attese, sofferenze di uomini e donne da ascoltare.

Ascoltarsi nella Chiesa
Anche nella Chiesa c’è tanto bisogno di ascoltare e di ascoltarci. È il dono più prezioso e generativo che possiamo offrire gli uni agli altri. Noi cristiani dimentichiamo che il servizio dell’ascolto ci è stato affidato da Colui che è l’uditore per eccellenza, alla cui opera siamo chiamati a partecipare. «Noi dobbiamo ascoltare attraverso l’orecchio di Dio, se vogliamo poter parlare attraverso la sua Parola». Così il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer ci ricorda che il primo servizio che si deve agli altri nella comunione consiste nel prestare loro ascolto. Chi non sa ascoltare il fratello ben presto non sarà più capace di ascoltare nemmeno Dio.
Nell’azione pastorale, l’opera più importante è “l’apostolato dell’orecchio”. Ascoltare, prima di parlare, come esorta l’apostolo Giacomo: «Ognuno sia pronto ad ascoltare, lento a parlare» (1,19). Dare gratuitamente un po’ del proprio tempo per ascoltare le persone è il primo gesto di carità.
È stato da poco avviato un processo sinodale. Preghiamo perché sia una grande occasione di ascolto reciproco. La comunione, infatti, non è il risultato di strategie e programmi, ma si edifica nell’ascolto reciproco tra fratelli e sorelle. Come in un coro, l’unità non richiede l’uniformità, la monotonia, ma la pluralità e varietà delle voci, la polifonia. Allo stesso tempo, ogni voce del coro canta ascoltando le altre voci e in relazione all’armonia dell’insieme. Questa armonia è ideata dal compositore, ma la sua realizzazione dipende dalla sinfonia di tutte e singole le voci.
Nella consapevolezza di partecipare a una comunione che ci precede e ci include, possiamo riscoprire una Chiesa sinfonica, nella quale ognuno è in grado di cantare con la propria voce, accogliendo come dono quelle degli altri, per manifestare l’armonia dell’insieme che lo Spirito Santo compone.

Roma, San Giovanni in Laterano, 24 gennaio 2022, Memoria di San Francesco di Sales