Servire è il nome della buona politica
Agosto 7, 2022La campagna elettorale inizia a prender forma per entrare, così, nella pienezza della sua teatralità. I bollori estivi non lasciano dormire sonni tranquilli a politici di basso calibro in cerca della candidatura all’ultimo grido. I politici di razza, invece, discutono sui possibili schieramenti partitici e appaiamenti di comodo. Alla secchezza di un clima tropicale, rispondono i fiumi di demagogia che, come non mai, prorompono con l’allerta di possibili esondazioni. Le tradizioni che si rispettano difficilmente si smentiscono e, come da pronostico, ai nastri di partenza si vendono promesse a buon mercato per ogni gusto. I buoni propositi elettorali, storie fantastiche di sognatori incalliti, sono come le aspettative, beneaguranti, del capodanno: con lo scorrere del tempo l’amarezza e il disgusto cominciano a prendere forma, così da dover desiderare cose migliori l’anno un successivo. Storie cicliche che si consumano dalla notte dei tempi. I programmi elettorali propongono la soluzione di numerosi e annosi problemi, manovre economiche adeguate per allentare quella cinghia, troppo spesso, stretta ai fianchi degli italiani. Il culto dell’apparenza, come scrivevo qualche tempo fa in questa rubrica, fotografa con chiarezza il momento attuale.
Al tempo di Gesù, scribi e farisei erano abituati a guadagnare la scena, “passeggiare in lunghe vesti, essere salutati nelle piazze” (Mc 12, 38); la riattualizzazione di queste figure la vediamo nei colletti bianchi, incravattati, ricevere saluti ed encomi, incensando gli ambienti pur di guadagnare future “poltrone”. Gesù invitava alla prudenza, con un richiamo imperativo ben poche volte usato: “Guardatevi”, state attenti! È un richiamo che ben si addice a questo momento e, al tempo stesso, è un invito alla coerenza e all’onestà per guadagnare meriti davanti a Dio e concorrere a migliorare le sorti di un popolo, nell’ottica della carità e della fraternità: una politica che diventa servizio, come dovrebbe essere.
«Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.» (Lc 12, 37). Dio da padrone si fa servitore. Il linguaggio dell’amore è servire. Il padrone diventa prigioniero e schiavo di ricchezze terrene e, pertanto, effimere e passeggere. «E il servo – dice padre Ermes Ronchi – amministra con gioia più un patrimonio di amicizia che non di case e di beni, un capitale di fiducia più che una dispensa di cibo.» Il Signore invita alla carità, a guadagnare e custodire tesori di bene e d’amore, che liberano il cuore dall’impudicizia della materialità e dalla vana gloria. Solo in quest’ottica possono maturare orizzonti di prosperità e non interessi egoistici e referenziali.
Alla luce della Parola di Dio, la vera politica si misura nel servizio, nell’affrontare con cura e abnegazioni sfide importanti: povertà, fame nel mondo, fine dei conflitti, cura del Creato. Sono tematiche che, tristemente, mancano nelle agende politiche e nei programmi elettorali. È quantomai necessaria una classe politica di nuova palingenesi incardinata con fattività su valori cristiani per guadagnare “tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma” (Lc 12, 33). «Il vero cristiano – scrive Mons. Gabriele Teti – è una lampada ardente, con il compito di illuminare il cammino altrui: ciò dà senso alla nostra esistenza e precisa la nostra missione.»
Mario Baldassarre