Solo una parola ed io sarò salvato
Settembre 10, 2023Meditazione (Lc 7, 1-10)
La misericordia di Dio non conosce confini. Commuove, quando il cuore è aperto ad accogliere il perdono paterno. Le parabole, proposte dall’evangelista Luca, ci vedono protagonisti invitando a volgere lo sguardo fraterno sull’Altro, abbandonando quell’aria giudiziosa e temeraria che ingrigisce l’animo. La fragilità umana ci assegna il ruolo di perdenti, che trovano la salvezza nell’amore del perdono di Dio.
«Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (2Cor 5, 21).
L’amore si misura con il sacrificio nel saper abbracciare la croce, per risorgere a vita nuova nella luce di Dio. Gesù si preoccupa delle sofferenze dei peccatori, prim’ancora del peccato. Lo sguardo paterno si posa sull’uomo, poi sulle azioni. La redenzione fa il cammino inverso: la bontà delle opere eleva l’uomo. Un percorso circolare che dà una nuova lettura della storia, filtrata attraverso la lente dell’amore.
La salvezza misericordiosa di Dio nasce e matura da un atto di fede: bisogna sentirsi e riconoscersi figli per sapersi amati. L’umiltà del cammino permette allo spirito di anelare alla fonte rigeneratrice del Padre; l’egocentrismo, invece, raffreddando le relazioni, non crea nuovi presupposti. Il male del nostro tempo si acuisce dalla caparbietà di puntare i riflettori su stessi, dando maggiore risalto all’apparenza e non alla sostanza delle opere. Le crisi sociali, tra cui la pandemia, evidenziano con chiarezza il mero fallimento di questa annichilente concezione. Le azioni comuni hanno permesso di fare muro contro un male che ha investito l’umanità. La fiducia dà man forte alla speranza: atto d’amore che nasce da forza interiore e agisce sul corpo e sulla psiche.
«Egli merita che tu gli conceda quello che chiede – dicevano –, perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga» (Lc 7, 4).
La supplica di anziani e Giudei rivolta a Gesù per salvare il servo del centurione nasce da testimonianze di reciproco amore. Commuove la rettitudine di quest’uomo, l’attenzione verso i subalterni, il rispetto e l’amore del suo popolo con cui erano maturate delle relazioni di fiducia e stima. Le condizioni trovano l’ammirazione di Gesù e si traducono con esattezza e rettitudine nella fede dell’uomo.
L’umiltà del cuore e il sincero atto di fede sono la chiave della salvezza.
«Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma dì una parola e il mio servo sarà guarito» (Lc 7, 6-7).
Non c’è alcuna ostentazione, solo fede, ossequioso rispetto. Il centurione riconosce davanti a Gesù la sua piccolezza, l’essere indegno, ma si affida. Il miracolo dell’amore parte dalla consapevolezza riposta nella fiducia di una volontà salvifica. Le parole del centurione vengono ripetute con fede prima del banchetto eucaristico durante la celebrazione della Santa Messa:
«Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma dì soltanto una parola e io sarò salvato» (numero 84 dell’Ordinamento Generale del Messale Romano).
In questi giorni, che ci accompagnano alle elezioni politiche per il rinnovo delle cariche parlamentari, la vicenda evangelica del centurione acquista rilevanza e significatività nel cammino di quanti si apprestano a calcare la scena politica con ambizioni governative. Le promesse e i programmi per tradursi in azioni concrete e fruttuose devono essere sostenute da amore e passione. Scrive papa Francesco:
«Non si può governare senza amore al popolo e senza umiltà! E ogni uomo, ogni donna che deve prendere possesso di un servizio di governo deve farsi queste due domande: “Io amo il mio popolo, per servirlo al meglio? Sono umile e sento tutti gli altri, le diverse opinioni, per scegliere la migliore strada?”. Se non si fa queste domande, il suo governo non sarà buono. Il governante, uomo o donna, che ama il suo popolo è un uomo o una donna umile» (Papa Francesco, La gioia della Misericordia, Castelvecchi).
Sono questi i presupposti essenziali che dovrebbero placare il clima incandescente di queste settimane e le accese diatribe tendenti ad infangare l’avversario. Al tempo stesso, il senso di responsabilità deve coinvolgere anche gli elettori: ognuno dovrebbe dare il proprio contributo, per quanto gli compete, al fine di perorare la causa del bene comune, intesa come alta forma di carità. Il continuo lagnarsi e criticare un sistema, ritenuto di irresponsabilità, è una forma di qualunquismo inconcludente. Papa Francesco richiama con forza i cattolici ad essere protagonisti:
«Diamo il meglio di noi, idee, suggerimenti, il meglio, ma soprattutto il meglio è la preghiera. Preghiamo per i governanti, perché ci governino bene, perché portino la nostra patria, la nostra nazione avanti e anche il mondo, che sia la pace e il bene comune» (Papa Francesco, Preghiamo per i politici perché ci governino bene, Meditazione mattutina, 16 settembre 2013).
La vicenda evangelica del centurione (cfr. Lc 7, 1-10) deve poter guidare e motivare le nostre vite, spesso frenate dall’indifferenza e dall’egoismo, verso le alte forme di responsabilità e senso civico per una sana guarigione comunitaria e un prosperoso benessere.
Mario Baldassarre