Sud è sinonimo di felicità? Dalla ricerca demoscopica e lo studio del sociologo Finzi spunti di riflessione
Febbraio 19, 2023Al Circolo della Stampa di Avellino si è discusso dei risultati della ricerca commissionata da Sòno, associazione di promozione sociale illustrata dal sociologo Enrico Finzi e moderata dal giornalista Generoso Picone. La ricerca è stata strutturata in base alle 1.415 interviste ad un campione rappresentativo di 43,2 milioni di Italiani tra i 18 e i 75anni.
Il dato di massima è che il 40% degli Italiani si definisce infelice mentre il 59% si dice soddisfatto della sua condizione (l’1% non si è pronunziato).
Ma il dato, per certi versi sorprendente, è che la gente del Sud si dichiara più felice (per un 16%) della media nazionale.
Ciò nonostante l’arretratezza di molte zone e la minore possibilità di chance dei meridionali: sia a livello lavorativo, perché molti, troppi
sono costretti ad emigrare verso il Nord quando non all’estero; molti preferiscono la sanità del Nord in quanto appare più performante. Ma anche per il tempo libero, che al sud per mancanza o inagibilità delle infrastrutture, viene sprecato o comunque non ottimizzato.
Di contro, sono proprio i ritmi più lenti ed una certa filosofia di vita, come godersi una passeggiata all’aria aperta in virtù del clima più favorevole o intrattenere rapporti sociali e conviviali con più persone a rendere la vita dei meridionali più piavevole e godibile. Altro motivo: non farsi travolgere dai ritmi del turbo capitalismo e dalla competitività consente di trascorrere la vita con più rilassatezza e senza stress. Una maggiore apertura ai rapporti umani e alle relazioni sociali differenzia il meridionale dal nordista che, specie nella zona del nord-ovest (Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta), risulta per 31% più infelice della media nazionale.
Ma è il lavoro la discriminante più netta che risulta dalle interviste: il 74% degli inoccupati si dichiara molto infelice; ildato diminuisce per le donne (+46%). Morale della favola: quando il lavoro è precario o sottopagato rende massimamente infelici; e questo avviene soprattutto in molte zone del Sud. La riprova è data dal numero dei pensionati ultra 65enni (fino ai 75 anni, limite oltre il quale inizia a quarta età ed anche gli acciacchi fisici rilevanti). Ebbene quelli della terza età si dichiarano molto felici, con un 150% sopra la media nazionale. Ciò in ragione di una vita che li ha appagati, avendo la tranquillità economica ed avendo vissuto dal secondo dopoguerra in poi un’esistenza in costante progresso. Gli anziani e i nonni sono in molti casi i finanziatori di figli e nipoti (specie al sud si accollano i mutui bancari sollevando gli eredi); e questa condizione li rende soddisfatti.
Mentre i giovani sono molto infelici (+39% nella fascia tra i 18 ei 24 anni) per la condizione di precarietà ed incertezza che riguarda il loro futuro; molti di essi non riusciranno a migliorare lo status dei loro genitori sia lavorativamente che come situazione patrimoniale e sono angustiati dal non poter progettare una vita autonoma e sicura al tempo stesso.
Anche le donne risultano più insoddisfatte (+29%) in quanto non vogliono essere relegate al ruolo di casalinghe e quando tentano di progredire, pur ottenendo risultati scolastici migliori degli uomini, fanno fatica ad imporsi nei contesti lavorativi a causa di un retaggio ancora tradizionalista della società; ed anche perché sono gravate di ruoli più onerosi nell’ambito familiare, come la conduzione della casa, l’allevamento dei figli o l’assistenza degli anziani.
Dalla ricerca e dallo studio in oggetto per il Meridione esce un quadro a tinte meno fosche di quanto si crede, ma attenzione a non innamorarci troppo del sole e della siesta; si sono sprecate al Sud finora fin troppe occasioni di sviluppo. Forse la strada più saggia è proprio quella di “progredire con moderazione”, come suggerisce qualcuno.